Gyantze
Luglio 2007. A Gyantze si può anche arrivare (come me) dallo Tsangpo attraverso un vero e proprio deserto di alta montagna, e infine ecco lo dzong, il Forte di Gyantze. «È uno di quei luoghi, come San Marino, che chiamano il castello, lo bramano, lo vogliono, lo esigono!» ha scritto Fosco Maraini. Splendida definizione, ma secondo me è ancora di più. Davanti a quella fierezza di pareti, a quegli ocra pallidi, a quei rosa scoloriti, a quel trionfo di aridità che viene a patti con l’uomo, penso alla cittadella di Aleppo, che è molto più piccola, ma dove si è accampato il padre Abramo.
Il grande, vero motivo per visitare la città, però, è il Kumbum: le “Centomila immagini sacre”, uno dei più grandi chörten (stupa) del mondo. È lì nello splendore dei suoi oltre 40 metri e con le sue 73 cappelle (con 108 porte) in cui si dice siano contenute non già "centomila" ma comunque quasi 28.000 immagini, tra dipinti e sculture. Nella sua realtà fisica, ma anche solamente in pianta, è un mandala che rappresenta l’universo buddista. I due inquietanti occhi dipinti sui lati dell’ultimo piano, quadrato, sopra il tamburo circolare del penultimo, scrutano inquisitori in tutte le direzioni: Chi sei, straniero? Spiega i motivi che ti portano qui...
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